El invisible – José Luis Blanco Vega

La Compagnia di Gesù venne fondata in Spagna ai tempi della Riforma cattolica. Il buon cattolico spagnolo doveva evitare due temi – quello erotico e quello eretico – che hanno grandi vincoli artistici. La nascente Compagnia visse pertanto in un’atmosfera di diffidenza verso la poesia, che in particolare col generalato di Claudio Acquaviva, si trasformò in proibizione.Dopo la restaurazione della Compagnia di Gesù del 1820 e per tutto il XIX secolo non è possibile trovare gesuiti poeti spagnoli di rilievo.

Nel XX secolo di particolare valore è la figura di José Luis Blanco Vega (1928-2005), gesuita asturiano, che ha unito la docenza di Letteratura spagnola alla vocazione poetica.

Persona molto riservata e umile, José Luis solo alla fine della sua vita ha permesso che le sue composizioni venissero pubblicate.

Il poemetto è tratto dalla raccolta “…Y tengo amor a lo visible”. Il testo è la rievocazione dell’Esodo in termini che accendono i sensi dell’immaginazione e rendono palpabile l’evento e viva la presenza del Dio invisibile, che «del deserto fa pane e della luce una bevanda pura». La traduzione italiana è di Giuseppe Romano.


***

L’invisibile

Loro avevano visto da vicino
gli dei di terribile bellezza,
capaci di sciogliere la terra,
di promuoverne i visceri
a vino e pane, ai legumi lieti
che poi si spartivano nelle cucine d’Egitto.

Oh, come scordare che quegli dei dimorano
nei luoghi fecondi, nel limo dei fiumi,
nell’erba intrisa, nel ventre dei campi,
e vegliano attenti le sponde dell’acqua
che giunga fino al sonno del grano
e corrono alacri e fertili
tra i greggi di pecore e capre,
di tori e di vacche copulanti al sole
come se unissero i poli della terra?

Ma a loro imposero la fuga notturna
dalle porte marchiate con fregi di sangue,
mentre l’angelo del Signore appariva nei coltelli
dell’ultima cena dei primogeniti.

Quando giunse l’alba
e videro che luogo attraversavano,
la sabbia dove la luna aveva dormito
cocente a mezzogiorno,
allora Israele gridò e si ricordò degli dei
dotati di faccia, o testa di cane
o seni numerosi, corna taurine
(così si poteva riconoscerli)
e si misero a reclamare un dio a portata d’occhio
in modo da eventualmente colpirlo
o montargli sulle spalle
o perquisirlo per rubargli un raccolto.

Mosè aveva detto loro: il nostro dio non beve,
non spezza il pane, non gradisce il grasso del bue
che stilla sulle braci,
perché è invisibile,
del deserto fa pane
e della luce una bevanda pura.

E il popolo fece stridere i denti,
si tappò le orecchie.
Fu allora che consegnarono al fuoco i bracciali,
i piccoli anelli, le collane di pepite d’oro;
tutto a bruciare nella storta rovente
per forgiare il toro, l’animale sicuro,
e il popolo ballò festoso
intorno a un dio riconoscibile.
Credettero che i suoi occhi dorati
scrutassero i confini del deserto,
che le sue gambe li avrebbero aiutati a varcarlo
e che il suo sesso avrebbe impregnato la sabbia
finché scoppiasse in pani e grappoli.
Al mattino Mosè tornò dal monte
e l’accampamento dormiva sotto l’idolo.
Si destavano ebbri,
si guardavano storditi dal vino
e puntavano le dita verso il toro
solitario nel centro del bivacco.

Non si erano mossi di un millimetro.
Non era cambiato niente. Sfrigolava la sabbia rossa,
nessun prodigio moltiplicò la farina degli orci,
l’olio non si effuse come un silenzio gentile,
né l’acqua si accostò alle tende
a chiamarli per nome.

Fu allora che Mosè gridò, alzò il braccio
verso la luce che cresceva implacabile,
la luce pronta a divorare il popolo
con inclemenza folgorante.

Ah, tornava il dio invisibile, l’assenza fragorosa
a stendere il deserto come un mantello,
e a uno a uno sarebbero caduti, finché la sabbia
fosse coperta di ossami biancheggianti.

Soltanto alcuni raggiunsero la fine del deserto,
piantarono limoneti, aranceti,
ebbero figli e figlie
e dissero loro:

— Rendiamo grazie
a colui che non ha volto,
a colui che non ha mani,
a colui che non ha piedi,
a colui che la pioggia non bagna
e che il fuoco non brucia…

(Era una lista lunga,
fino a svestire Dio di tutto l’uomo)

E i bambini sbucciavano le arance,
bevevano acqua e limone, mangiavano
pane di frumento
e dicevano: Amen.

Qualcuno degli anziani, a un tratto, pensieroso
ricordava un tempo
in cui molti morivano chiedendo
del volto di Dio.

***

Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *